
AMINOACIDI NELLO SPORT
Un viaggio nella performance fisica nell’interazione con i “famosi” aminoacidi
(in collaborazione con l’equipe Mytho)
IL DISPENDIO ENERGETICO NELL’ATTIVITA’ FISICA
Attività fisica significa consumare di più rispetto a quando si sta a riposo. L’adattamento all’attività fisica presenta una serie di vantaggi, ma anche costi ben precisi.
Costruire, di per sé, è costoso: serve più energia di quella necessaria per mantenere integro il tessuto muscolare, e inoltre bisogna considerare il costo in termini di materiale (aminoacidi) necessario per costruire le nuove proteine.
Infine, fare attività fisica significa aumentare il carico di lavoro giornaliero, quindi il dispendio di calorie, energia cui concorrono carboidrati, lipidi e aminoacidi: più è protratto e intenso il carico di lavoro, maggiore sarà il consumo di substrati, sia carboidrati che lipidi e proteine, nel metabolismo energetico.
Al contrario di quello che troppo spesso viene detto, il consumo di lipidi per produrre energia è sfavorevole in termini di energia prodotta/numero di molecole di ossigeno, se paragonato all’efficienza del massimo utilizzo di glucosio nel ciclo dell’acido citrico.
Quando un atleta, per esempio un maratoneta, incontra the wall, il muro, ovvero quando non ce la fa più, significa che di glucosio da usare per fare energia ne ha davvero pochino. Se continua a correre, lo deve alla neo-glucogenesi, cioè all’attività del fegato che si mette a produrre nuovo zucchero a partire dagli aminoacidi a disposizione.
Infatti, in queste condizioni solo una stimolazione della neo-glucogenesi (la caffeina ha un effetto del genere) permette di non fermarsi: tanto più è prolungato nel tempo lo sforzo, tanto maggiore sarà il consumo di aminoacidi anche a questo scopo, e non solo per fare energia nel muscolo.
Questo è il motivo per cui i culturisti pensano, con una qualche ragione, che impegnarsi in serie eccessivamente prolungate di ripetizioni ”svuoti” il muscolo, invece di riempirlo di proteine contrattili.
E spiega anche il perché atleti che si allenano su lunghe distanze, e con tempi molto lunghi di sforzo protratto in allenamento e in gara, non sviluppino masse muscolari enormi alle gambe, ma anzi, siano dotati di muscoli “lunghi” e gambe fini. Ecco perché il culturista non corre facilmente una maratona in tempi eccezionali: gambe enormi consuma no molto, e anche se l’atleta ha molta potenza massima (infatti riesce a sollevare un’enormità di pesi), deve rifornire di ossigeno l’enorme massa di muscolo…maggiore massa = maggiore consumo e fabbisogno di ossigeno!
Quindi, esiste un equilibrio fra dimensione della massa e quantità e qualità di forza che questa riesce a esprimere.
Un maratoneta (se fosse così matto da provarci, rischiando di disfarsi le ginocchia) non solleverà mai 10 volte in squat 180 kg come un culturista della sua stessa altezza. Ma, il culturista, non riesce a correre 42 km sul piede dei 2 minuti e 56 al km.
In questa prestazione entra il peso, il maratoneta è magrissimo e leggero, il diametro stesso del muscolo è importante, così come conta la dimensione della vascolarizzazione: l’ossigeno per raggiungere i mitocondri deve attraversare meno spazio di cellula possibile, fra una contrazione e l’altra; quindi, più è grossa la cellula, meno ossigeno arriva a tutti i mitocondri.
Ovvero, più sono i vasellini arteriosi tra le fibre muscolari, più ossigeno vi giunge, poiché maggiore è la diffusione della rete vascolare, ovviamente, maggiore è la portata in millilitri di sangue che arriva ogni secondo, a ciascuna cellula del tessuto muscolare.
METABOLISMO ENERGETICO
Va sfatato un mito, quello del metabolismo anaerobico: non è affatto vero che il maratoneta keniano sia migliore a correre in anaerobiosi o a consumare grassi al posto degli zuccheri rispetto al suo contraltare europeo!
Il metabolismo anaerobico è capace di mantenere una scintilla di energia, non di più, per pochi decimi di secondo, poi, senza metabolismo aerobico tutto si ferma.
Quando nei 100 metri si corre senza respirare, l’ossigeno è usato, eccome, ed è quello presente nella mioglobina del muscolo.
La mioglobina, parente dell’emoglobina dei globuli rossi, è il serbatoio di ossigeno che permette alle balene di stare 3 ore sott’acqua, pur essendo mammiferi, e di emergere periodica mente per respirare,così come consente al keniano dicorrere veloce e a lungo.
La permanenza, per generazioni, in altitudine, non fa costruire solo più globuli rossi, cosa sulla quale ci sarebbe parecchio da dire ma soprattutto ha generato per selezioni naturale famiglie di individui con una dote di mioglobina straordinariamente abbondante. Chi non abbia la capacità di sintetizzarne tanta sotto stimolo, è inutile e perfino dannoso, che vada ad allenarsi in altitudine.
Inoltre, per sintetizzare mioglobina, e comunque per sintetizzare emoglobina e produrre globuli rossi, non basta avere a sufficienza ferro, vitamina B12 e acido folico, ma ci vogliono notevoli quantità di istidina.
L’istidina è un aminoacido speciale per la sua forma chimica ed è presente in quantità piccolissime nelle proteine alimentari, dove, per di più, si trova in forma modificata (come 3 o 5 metil-istidina),e non è riutilizzabile per fare actina e miosina, per la sintesi delle quali viene trasformata nei derivati 3 e 5 metilati.
L’istidina è indispensabile per costituire il castone di aminoacidi necessari per formare la globina, che è la struttura atta a mantenere il ferro (l’eme) al suo centro. Questa conformazione serve per rendere l’eme dell’emoglobina efficiente negli scambi, cioè nell’acquisire ossigeno dal polmone e cederlo alla mioglobina nel muscolo.
Purtroppo, noi italiani abbiamo trista fama nel mondo per essere stati antesignani nell’uso dell’eritropoietina a scopo di doping, molecola con effetti ormonali. L’eritropoietina stimola non solo la sintesi di più globuli rossi, ma aumenta anche l’efficienza con la quale l’ossigeno viene immagazzinato nel muscolo. Da cui la diffusione negli sport di durata (ciclismo, maratona) e che si svolgano in altitudine, come lo sci di fondo.
Grazie a indecenti personaggi che non solo hanno lucrato sugli atleti, ma che cercavano anche di accreditarsi come scienziati godiamo di pessima fama nel mondo.
Per tornare all’allenamento, bisogna avere non solo un muscolo efficiente a produrre energia, ma anche un fegato capace di mantenere costante il glucosio, che al muscolo serve per contrarsi e utilizzare al meglio l’ossigeno a disposizione.
Allenarsi intensamente a digiuno 2-3 volte alla settimana è un trucco magnifico per rendere il fegato allenato a trasformare aminoacidi in glucosio, aumentando il patrimonio di enzimi capaci di attivare con efficienza questa via metabolica.
TO BE CONTINUED…
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